Quando penso a quanto sono fortunata, mi vengono in mente loro: Jean, mamma e papà. Ma sopratutto Lui. Il mio cuore. La mia vita. Il mio mondo. Il mio universo. Ogni cosa gira intorno a lui. Il mio inizio e la mia fine.
Oggi però lui non c’è. Ha fatto di tutto per poterci essere, ma ha detto che forse non ci sarà. Conoscendolo però cercherà di essere qui il più presto possibile. Perché oggi io, finalmente, rivedrò la mia famiglia dopo tanto tempo. Avevano lasciato Parigi dopo la mia scomparsa e non ho avuto il coraggio di andare a cercarli. Non so come affrontarli dopo tanto tempo. Qui non si tratta di essere semplicemente sparita. Qui si tratta.... Sarà dura spiegare perché sono sparita per così tanto tempo.
-Un cafè- La campagna francese ha un fascino diverso. Sarà che sono cambiata io. Sarà che sono assente da tanto. Sarà che mi sono abituata al Giappone o a tutte le altre parti del mondo. Ma la Francia resterà la mia terra natia. Arriva il caffè. Ne godo prima il profumo, come fa Lui col caffè che preparo io. Quando gli chiedo perché, lui risponde sempre “Perché l’hai fatto tu”
Ivan mi ha detto che oggi Jean tornerà da una missione come pilota. Non mi ha detto da dove. Prima o poi lo scoprirò.
I treni qui alla stazione passano in fretta. C’è chi scende e c’è chi sale. E il chi so io concluderebbe con “Ma i più furbi prendono la linea speciale”
[Bribip... Bribip...]
-Sì?-
-Tutto a posto baby?- Ed ecco che mi saluta con il suo solito modo da gangster
-Tutto a posto. Sto aspettando il treno per Marsiglia-
-Come il sapone. Non è che lo fanno lì? Ehi! Portane un po’ che l’abbiamo finito ok?- Ci si mette pure lui ora. Se si muovesse un po’ di più, forse sarebbe meno... robusto
-Muovi le gambe e vai a prenderlo in negozio. Per chi mi hai preso?-
-Lui dov’è? Passacelo dai-”
-“I soliti impiccioni”. Non c’è. Ha detto che forse non c’è la farà-
-Secondo me è con qualche bella pupa-
-Se sperate di ingelosirmi vi sbagliate. Ha un alibi di ferro. Anzi di titanio. Deve testare il motore della nuova auto-
-Visto che siamo in tema, non c’è un altro pilota che ha fatto un test analogo?-
-Non sottolineare per favore-
-Gli ho lasciato una lettera con tutte le indicazioni del luogo dove sto andando. Conoscendolo farà di tutto per raggiungermi. Sta arrivando il treno. Au revoir mes amis-
-E dai dillo anche a noi. Possibile che... –
Prendo al volo il treno. Questa piccola stazione fuori Parigi è un po’ scomoda, ma non volevo farmi vedere in città. Non in questo periodo che Loro sono da quelle parti. Sono di passaggio e non fanno nulla, come ha verificato il nostro informatore ufficiale. Gli altri li stanno comunque tenendo d’occhio, per sicurezza.
Quanto a me. Voglio dimenticare di essere ciò che sono, per qualche giorno. Se ci sarà da intervenire, mi sono già informata per il treno di ritorno e ho preso accordi anche per un viaggio molto più veloce.
Devo dire di essere molto nervosa. Come affronterò l’argomento. Non è semplice. Che gli dirò “Jean lo sai che quando sono sparita, in realtà mi avevano rapita. Sono stata trasportata su un’isola, dove dei pazzi mi hanno rimodellata e trasformata in un’arma. Un cyborg. I miei poteri si limitano alla vista e all’udito, ma ciò non toglie che non sia una macchina. Sono stata sui più grandi campi di guerra. E ora sono qui perché in città ci sono i tizi che mi hanno rapita e vogliono uccidermi, perché mi sono ribellata al loro capo in quanto mi rifiutavo categoricamente di fare quello che volevano. Ah! Dimenticavo. Siamo in 9 in tutto” Mi prenderà per pazza. Soprattutto se detto così.
Ci vorranno alcune ore per arrivare a destinazione. Non mi sono portata nulla per distrarmi. Ma d’altra parte non so neanche cosa portarmi. Un libro? Un lavoretto a maglia? Cosa posso fare?
-Insomma decidetevi. Volete il gelato o il frullato? Posso prendervi solo una cosa per tutti e due-
-Gelato-
-Frullato-
-E’ più buono il gelato-
-No meglio il frullato-
Quei due ragazzini lì mi ricordano i nostri due attaccabrighe. Mai d’accordo su niente, ma in un certo senso divertenti.
-Insomma. Isabelle, Bernard. Smettetela subito. Non vi prendo niente visto che non vi mettete d’accordo. E poi stiamo pure facendo una brutta figura. Persino quella signorina ci sta guardando-
-Non si preoccupi. Non disturbano- Ed è vero. Non ho detto che mi divertivano per non offenderla. Ora si che ho modo di distrarmi e non pensare a cosa dire per giustificare la mia sparizione. E mi accorgo solo ora di un tizio molto elegante seduto più avanti a destra. Ha delle schede con se e una ventiquattrore. Deve essere il dipendente di qualche azienda o banca. Dietro di me invece c’è una coppia, che si bacia senza discrezione. Adesso mi manca Lui.
Durante tutto il viaggio guardo fuori e ogni tanto, con discrezione, sbircio quello che fanno gli altri passeggeri. Non sono l’unica che si annoia o che ha qualche problema. Ma di sicuro sono l’unica ad avere il MIO. Almeno su questo treno.
-*Ciao. Immaginavo che avresti voluto un po’ di compagnia*-
-“Perché sai sempre quello che penso?”-
-*Non sarei un telepate altrimenti*-
-“Vero. Come va con gli altri?”-
-*Due baby-sitter nulla facenti stanno pisolando, anziché sorvegliarmi. Pensavo di svegliargli con un bel gong. Tu che dici?*-
-“Ahah! Cerca di non farti sorprendere a mezz’aria. Io sono quasi arrivata”-
-*Andrà tutto bene. Non devi essere nervosa. E Joe sta cercando di liberarsi dall’impegno per raggiungerti*-
-“Come immaginavo. La prossima volta vieni anche tu”-
Scendo alla stazione, come promesso. È un piccolo paese di campagna. E qui che vive una parte del mio parentado. Ed è qui che si sono trasferiti i miei. Che devo fare? Posso affrontare l’Apocalisse, ma non riuscirò ad affrontare i loro volti dopo tanto tempo, senza dover mentire sul perché.
Prendo un the al bar di fronte alla stazione. Sono arrivata un po’ prima, ma vedrò arrivare Jean in gran pompa magna. E Natalie guiderà il piccolo corteo... composto da loro due soli. Gran bella coppia, ma mai quanto Noi due. Non per egoismo, ma è vero. Jean e Natalie non hanno mai dovuto affrontare, quello che affrontiamo noi. Non sono quasi morti per esaurimento. Non devono fare i conti con la guerra e la follia umana. E questa è una cosa che non auguro a nessuno dei due.
Sono le 12.00 Tra poco arriverà il suo treno. Non ho visto entrare Natalie in stazione. Sarà cambiata di sicuro e forse per questo non l’ho riconosciuta. Forza. Sono venuta fin qui per recuperare quel poco che resta della vecchia Françoise. La mia famiglia e i miei sogni. Ballo ancora. Sono diventata la prima ballerina dell’Opera di Parigi e sto diventando pian piano anche la più famosa di Francia. Ma nessun sogno sarà reale se non recupero tutto quello che ho perso. Ho degli amici fantastici. Un amore che le altre ragazze sognano soltanto. Ho tutto quello che, direbbero, una può desiderare. Ma se sei un cyborg, se sei diventata cyborg contro al tua volontà; allora quello che desideri è tornare ad essere normale... per quanto possibile.
Vedo molta gente sul binario. Tutti in attesa del treno. Non conosco nessuno di loro. Non riconosco nessun volto. Il treno sarà qui tra poco. Lo so. Lo vedo. Non so proprio come affrontarli. Oramai sono qui e devo farcela. Ho aspettato a lungo ciò. Ho una gran paura ma se voglio essere in pace con me stessa, DEVO farlo.
Ecco il treno. Jean. Mio fratello. Chissà quant’è cambiato in questi anni. Quanti sono? Ho perso il conto. O forse non l’ho mai tenuto. Si ferma e le porte si aprono. Vedo i ragazzi in divisa scendere veloci e cercare i loro familiari. Poi il treno riparte, mentre quelli rimasti a bordo si sporgono dai finestrini e salutano i compagni. Jean, dove sei? Natalie? Dove sono?
Se ne stanno andando tutti quanti e io resto qui, impassibile. Non lo vedo. Eppure rientrava oggi. Non è che ha cambiato idea. No. Lo saprei. Ivan me l’avrebbe detto.
-Appena a casa ti preparo la mia torta speciale. Non sarò da meno a nessuno questa volta-
-Non per sminuirti Natalie, ma le torte di Françoise erano un pochino meglio. Tu metti troppo zucchero-
Jean. Dov’è? Ah! Eccolo. Ora capisco perché non l’ho riconosciuto. Si è tagliato i capelli. E Natalie ora porta le gonne tutte svolazzi che odiava. Ecco perché. Forza Françoise. Sei arrivata fin qui apposta. Non puoi tirarti indietro. E se non mi riconoscesse? Non riesco a muovermi. Jean guardami. Sono io, Françoise. Sono tornata. Ti prego guardami. Jean.
-Ma che buella giuovinezzza... Goditevi la vita mi ragomado... hic-
-Ma fa attenzione a dove vai ubriacone-
-Che tipo. Ubriacarsi in quel modo-
-Già. Scusi signo... –
-Ciao Jean- Finalmente si è voltato e mi ha guardato. Jean. Sono tornata. Non riesco neanche a tenere le lacrime, tanto sono contenta. Tu invece sei stupito, ma lentamente sorridi. Mi hai riconosciuta. E io che temevo che non mi avresti riconosciuta. Che paura stupida vero?
-Françoise. S- sei... sei tornata. Sei tornata. Oh Dio! Non hai idea di cosa ho passato in questi anni. Quando quei tizi ti rapirono, ho cercato di raggiungerti, ma non ce l’ho fatta. Perdonami. Chissà che hai dovuto passare-
Jean era presente quando mi hanno rapito? Non ne sapevo niente. Ma sono felice lo stesso. Almeno così non dovrò dire perché sono scomparsa. Ma dovrò dire tutto il resto –Natalie?- Piangi anche tu vero? E come darti torto. Io stessa non riesco a smettere.
-Bentornata Françoise. Sapessi quanto sei mancata. Jean era ridotto a uno straccio, dopo il tuo rapimento. Ha addirittura iniziato a bere perché non si dava pace- Jean ubriaco?! No non ci credo. Eppure sembra così, visto che è diventato un peperone e non riesce nemmeno a guardarmi in faccia. Caro il fratellone. Ora sono qui e se ti incolli alla bottiglia mi senti.
-Mi spiace avervi fatto preoccupare-
-Non importa Françoise. Ci racconterai tutto appena a casa. Anzi no. Andremo direttamente alla polizia. Racconterai tutto a loro e prenderanno i rapitori. Che c’è Françoise?-
Jean come faccio a dirtelo? Non è così semplice. Non basta denunciare tutto, perché non otterremmo comunque nulla dalla polizia. Loro non si combattono così. Non basta denunciarli per fermarli –Scusa Jean, ma non posso. Non è così semplice. Non so neanche da dove cominciare-
-Ma se non dici nulla, non li prenderanno-
-Non cambierebbe nulla comunque credimi. E comunque non me la sento-
-Povera Françoise. Chissà che hai dovuto passare- Grazie Natalie. Ti sono debitrice. E tu Jean. Non pretendere troppo. È già tanto se ho trovato il coraggio di venire qui.
-Scusa. Non dovevo chiedertelo. E che mi sembrava la cosa più giusta-
-Non preoccuparti. Sono felice di essere qui- Si sono felice. Ora potrò recuperare quello ho perso.
-Coraggio. Andiamo a casa. Andiamo da mamma e papà. Saranno al settimo cielo per il tuo ritorno. Quanto alla denuncia, la farai quando te la sentirai- Non servirà a nulla comunque. Ma annuisco lo stesso. Ora andiamo a casa. Rivedrò mamma e papà e tutta la mia famiglia. Li rivedrò finalmente. Un po’ devo rigraziare quel tizio. Se non avesse urtato Jean, probabilmente non mi avrebbe vista. Ma perché ho l’impressione di conoscerlo?
-Avevi ragione sai, piccolo. La nostra bella milady aveva bisogno di una piccola spintarella-
-*Non prenderla in giro. Anche tu ne avresti avuto bisogno se avesti dovuto affrontare la stessa cosa*-
-Detto niente. Torniamo dagli altri va. Dobbiamo finire il lavoro-
-*Visto che siamo in argomento. Dovrai prendere le sembianze di uno di loro e scoprire dove alloggiano*-
-Eh! Ma allora è un vizio?!-
-Vedrai Françoise. Ti faremo una festa da vera regina. Non mancherà nessuno. Non ci metteranno molto ad arrivare. Avviseremo tutti. Tutti-
-Non vedo l’ora di rivedere tutti quanti-
-Ci credo, amica mia, dopo tanto tempo-
E bello essere di nuovo qua. Di nuovo con loro. Presto rivedrò anche tutti gli altri. Mamma. Papà. Gli zii. Tutti. Sono così nervosa ed emozionata. Quanto saranno cambiati? E Gérard si sarà messo la testa a posto? La decappottabile di Jean non è molto bella. Credo che sia di seconda mano. Ma perché bado a queste cose?! A Jean sono sempre piaciute le vecchie auto. Questo bel venticello mi sta mettendo allegria e sento anche che le paura se ne va. Anche se il nervosismo rimane. Manco da così tanto. Siamo arrivati. Che viaggio breve. Avrei voluto che durasse un po’ di più. L’aria profuma di rose. Le rose della mamma. Quanto mi è mancato questo profumo. Profumo di casa. Un petalo?! Fermati. Fatti prendere. Preso –Ahah! Non ci posso credere Françoise. Fai ancora questo giochetto?- -Di rincorrere i petali di rose che volano col vento. Sì. Perché mi fa sentire a casa- Si rimette a ridere. Non ha mai capito questo gioco ne mai lo capirà. Sinceramente non so nemmeno io perché mi viene da rincorrere i petali al vento. Con gli altri però non l’ho mai fatto. Sarà che ero troppo presa dai loro battibecchi. O dai magici momenti con Lui. Voglio presentarlo alla mia famiglia. Dir loro che mi ha salvato. Ma che dico?! Non mi ha salvato solo lui. Anche se è lui quello che mi ha restituito la vita. E io invece glielo donata. Gli ho donato quello che voleva. Una persona che lo amasse, lo apprezzasse. La vita. L’amore. Il rispetto verso se stesso soprattutto. Ma anche da una persona diversa, che non lo pretendesse diverso da com’è. Comunque siamo nella casa della nonna Josephine. Santa donna. Chissà come sta?
-Allora vieni o no?-
-Arrivo. Scusate. Mi ero distratta-
-A me basta che non sparisci un’altra volta. Mamma! Mamma!! Vieni presto-
La casa della nonna è un po’ cambiata. Nell’ingresso non ci sono più i quadretti a punto croce che amava fare. Il gatto deve essere morto. L’ultima volta che l’ho visto era piuttosto anziano. Però era simpatico –Jean si può sapere che hai? Sembra quasi che tu abbia vinto la lotteria- -Molto meglio mamma. Dai vieni- -Aspetta non tirarmi così. Jean!- Ecco una cosa in cui non è cambiato. L’irruenza. Ricordo che da piccola avevo un compagno di scuola che veniva sempre a fare i compiti con me. Ricordo anche che Jean lo squadrava da capo a piedi, come un generale come per dire “Ti tengo d’occhio. Guai a te se fai qualcosa di strano. Ti affetto” Ahah! Oddio. Mi sa che farebbe una scenata simile, se gli presento Joe –Dai vieni- -Brucierò il pranzo- -Andiamo fuori a pranzo. Offro io. Ma ora vieni muoviti. Sono sicura che sarai al settimo cielo- -Ma di che parli?- -Dai. Ecco, mamma. Guarda chi è tornata- Mamma. Non ci credi che sia qui vero? Lo capisco da come mi guardi. Non ci credo nemmeno io. Mamma –Françoise? Sei proprio tu, tesoro- -Mamma- Scoppio a piangere un’altra volta. Mi sa che non sarà ne la prima né l’ultima di oggi. Abbracciami mamma. Fammi capire che non è un sogno. Che sono veramente qui. Mi sembra tutto un sogno.
-Tesoro. Ma dove sei stata? Che ti è successo? Jean ha ripetuto per anni che eri stata rapita e la polizia non ha trovato nessuna pista a riguardo-
-E’ troppo difficile da spiegare e da raccontare. Per ora vorrei dimenticare. Poi si vedrà. Mi sembra ancora un sogno essere qui. Raccontami tutto. Come sta papà? E gli altri? Che avete fatto? Voglio sapere tutto. Tutto- Sei felice mamma? Anch’io. Lo siamo tutti.
-Françoise. Ce un’altra cosa che ti riguarda e voglio una tua conferma-
-Dimmi-
-Tempo fa è venuta la polizia dicendo che sei stata vista molte volte a Parigi. E molta gente può confermare che hai ballato all’Opera come prima ballerina, in diversi spettacoli. Ci hanno anche detto che qualche anno fa sei sparita di nuovo, subito dopo uno spettacolo, con due tizi strani che ti avevano portato un gigantesco mazzo di rose. E’ vero?- Sì è vero. Quelli erano Albert e Bretagna che venivano a prendermi, per tornare in campo. Per tornare a combattere. Per tornare ad essere un cyborg. Non ho più ballato in uno spettacolo da quel giorno. Ho continuato a casa, tra una battaglia e l’altra, approfittando di tutti i momenti di tregua.
Che devo dirti mamma? Se ti confermo la cosa ti arrabbierai e mi chiederai spiegazioni che non posso darti né saprei come dartele. Ma d’altra parte se ti dicessi che è tutto falso, mentirei. E io non ti ho mai mentito. E non voglio cominciare ora.
-Sì. È vero. Ho ballato all’Opera diverse volte. Poi sono sparita di nuovo. Sono tornata alcuni mesi fa per alcuni giorni.... – Non ce la faccio a proseguire. Fa troppo male.
-Allora perché non sei tornata prima, Françoise?-
-Perché avevo paura, Jean-
-Paura di cosa?-
-Di Loro. Di quelli... – Mi abbracci come quando eravamo bambini e mi consolavi. E di nuovo mi sento al sicuro come allora. Anche se non è più il tuo abbraccio che cerco, quando sono triste; questo calore vuol dire casa, famiglia –Scusa. Lasciamo perdere questa storia per ora. Quando te la sentirai, racconterai tutto alla polizia. D’ora in poi tutto tornerà come prima. E non ci separeranno mai più. Resterai qui con noi- Quanto vorrei che fosse così, Jean. Non sai quanto.
-Cosa sono queste lacrime e quest’aria da funerale? Coraggio cominciamo il giro di telefonate. Dobbiamo avvisare tutti- Sempre al solita Natalie, che quando si è tristi, tira su di morale tutti quanti. E ha già preso il telefono. Compone il numero della polizia e li avvisa del mio ritorno. Sento che manderanno qui degli agenti per interrogarmi. Natalie cerca di dir loro che verremo noi. Ma quelli attaccano prima di sentir risposta. Povera me. Dovrò sentire il terzo grado ora.
-Mamma. Jean. Natalie. Se non vi dispiace io andrei a dormire un po’. Sono stanca-
-Certo tesoro. La tua stanza è sempre la stessa che di dava la nonna. Ci abbiamo trasferito tutte le tue cose-
-A proposito dov’è?-
-Non ha retto al notizia della tua scomparsa- Ho capito. Nonna. So che mi senti. Riposa in pace perché sto bene e ho al mio fianco delle persone fantastiche che mi proteggono. Non devi preoccuparti di nulla.
Salgo nella mia vecchia stanza. Ci sono tutte le mie cose. La mia bambola preferita. I miei giocattoli. I miei premi. Le mie foto da piccola di quando ballavo. Il lampada con paralume rosa decorato con fiori e fate danzanti. Da bambina. C’è tutta la mia vita in questa stanza. Mi addormento con la familiare ed estranea aria di casa. In sola mezza giornata, mi sembra di aver affrontato una battaglia lunga settimane.
Parigi. Un tizio in soprabito da detective gira imperterrito per le strade, ignorando gli sguardi curiosi della gente. Si infila in un legante bar, dove il suo abbigliamento non passa di certo inosservato. C’è una piccola stanza isolata, costantemente invasa dal fumo delle sigarette. Le stecche sul tavolo da biliardo scoccano i colpi, mentre il familiare suono delle palline che urtano l’uno contro l’altro; accompagna le chiacchere della gente.
Scosta il fumo dalla visuale con stizza è una nota quasi di rimprovero. Adesso l’abbigliamento non era affatto fuori luogo.
Si diresse verso uno degli ultimi tavoli da biliardo, dove un piccolo gruppo giocava con un po’ di maldestria.
-Scusate il ritardo. Sapete com’è, impegni vari. E poi dovevo essere sicuro che non mi seguissero- Con tono alla Sherlock Holmes, salutò il gruppo, che mollò il gioco per rispondere a tono
-Vai a quel paese Sherlock-
-Oh la là. Che odono le mie sensibili orecchie. Non sarai mica il mio nemico Mortimer?- Levato il cappello, apparve Sherlock Homes in persona, imperterrito nel suo soprabito tipicamente inglese. Il gruppo tornò a giocare, mentre il più calmo prendeva le distanze dalla pallina bianca e calcolava il colpo, effettuando un perfetto colpo che ne mandò tre in buca insieme –Bella mossa. Non ha caso sei uno stratega- -Ho notizie per lor signori. Se desiderano ascoltarle, offrirò loro un bel drink- Continuò ad essere ignorato e offeso, si avvicinò al gruppo ma solo per prendersi una gomitata in pieno volto, facendo risucchiare quell’aria intelligente in dentro e lasciando il posto a quello che sembrava un lenzuolo stropicciato o una massa di gelatina mal riuscita –Eh Eh. Piaciuto lo scherzetto?- -Molfo divefeffente- La mano si infila nel cratere, mentre i capelli si ritirano all’interno della testa, la pelle tirata e mollata, lasciando il posto al vero Sherlock del gruppo
-Allora. Dicevo che ho da dirvi una cosa, sulla missione. Ci sediamo e prendiamo qualcosa o restiamo qui?-
-Prendiamoci qualcosa và. Una birra basterà-
-Te la svigni perché stavi perdendo vero?-
-No. Ma con mister calma eterna è impossibile vincere qui-
-Io mi sto divertendo-
-Ci credo. È fatto per te. Preferisco uno di quei giochi in cui magari c’è pure un sano battibecco-
-Non il poker spero-
-Paura che ti stracci vecchio mio?-
-No ma sei più intrattabile del solito, quando giochi-
-Concordo in pieno. Palla 8 in buca d’angolo destra, con triplo colpo-
-Impossibile-
-Mi paghi una soda se ci riesco-
-Ok- E infatti come annunciato la palla nera finì nella buca stabilita, dopo che altre tre si erano scontrate tra loro e finite tutte nelle rispettive buche –Mi devi una soda- Imprecando tra i denti, l’ordinò e non si capiva se era rosso di rabbia o perché in quel posto faceva caldo. Certo è che divenne un tutt’uno con i suoi capelli. A sbollentare la situazione arrivò di corsa un altro elegantone che di certo non passò inosservato nel salottino principale, sollevando molte esclamazioni da parte del gentil sesso. Entrò in quello fumoso e si diresse subito verso il tavolino prestabilito.
-Alla buon ora principino. Ti si sono bucate le gomme?-
-Spiritosone. Caso mai sei tu che la hai bucate- Stavolta era veramente rosso di rabbia –Mi sono fermato a prendere una cosetta e una cartina stradale-
-Senza la nostra impareggiabile navigatrice, non si sa proprio dove andare vero?- La battuta del fratello di Sherlock lo fece arrossire un po’, mentre prendeva una birra e la bevevo insieme agli amici, con tutte la altre ordinazioni.
-Allora. Dov’è che si trova? Se non sbaglio ti ha lasciato tutte le indicazioni-
-Sì, ma non lo trovo comunque. Deve essere un paesino davvero piccolo-
-Perché non chiedi al piccoletto di portatici? Lui sa dov’è-
-Sì. E’ un ottima idea. Grazie Pyunma-
-Anch’io so dov’è se è per questo-
-E come faresti a saperlo?-
-Ivan mi ha portato con sé per aiutarla. Adesso e’ insieme a suo fratello. Il paesino chiama Saint Bernard du Lac-
-Trovato. E’ a pochi Km da Marsiglia-
-Buono a sapersi faremo un irruzione di massa. Mica vi lasciamo soli. Non ci siamo mica scordati che giorno è tra poco-
-Provaci e le prendi. Da entrambi-
-Sai che novità per lui-
-Ahahah-
A suon di risate, colpi al biliardo, la serata andò avanti. Bretagna comunicò quanto scoperto, per uscire dal locale, poche ore più tardi, fingendosi ubriachi, anche se uno lo era davvero.
Quella stessa sera, dopo aver fatto passare la sbronza alla loro super spia con un cocktail di acqua, sale, aceto e limone; seguirono il duo nero per le vie di Parigi. C’era una piccola e bassa nebbia, che dava alle strade, un aspetto da film horror di serie B. Lasciarono i quartieri eleganti, con le luci dei lampioni e la strade battute dai poliziotti. Un po’ inquietante come posto.
-Forse era meglio se insistevamo perché venisse con noi. Non si vede a un palmo dal muso- Le solite proteste del più irruento. Era abituato all’azione diretta, non agli inseguimenti
-Vuoi dire che non vedi neanche la punta del tuo naso?- Il compare rispose a tono, con il solito modo di fare glaciale, ma allo stesso tempo solidale. Oramai lo conoscevano a sufficienza per capire qualcosa di più dei suoi atteggiamenti.
-Io ci vedo benissimo e posso guidarvi senza errore-
-Per forze. Sei abituato alle grandi profondità. Ci credo che ci vedi-
-Fate silenzio o ci scopriranno-
-Non sei mica... Mph!- Fu zittito dalla morsa d’acciaio dell’amico tedesco
-Ha detto silenzio testa vuota. E lo dico anch’io-
-Ma lo sapete che certe volte siete insopportabili-
-Ma senti da che pulpito viene la predica-
In un paesino, distanti chilometri da quell’inseguimento, in una piccola casetta circondata da un rispettoso e gioiso silenzio; l’oggetto delle loro chiacchiere dormiva ancora placidamente. Era stata avvolta in una morbida e calda coperta rosa. La sua preferita. Dormiva con un gran sorriso sulle morbide labbra, felice e serena. Dalla porta semichiusa, un uomo in divisa militare e con più medaglie di una vetrinetta d’antiquariato, osservava la giovane con sorriso paterno. Suo padre. Anche lui pilota aeronautico. Ma a differenza del figlio, non pilotava più gli aerei. Troppo vecchio per volare e per guidare i più moderni, con qui segnalatori a cui non era abituato. Aveva fatto la guerra, mentre i suoi figli si costruivano la carriera. Aveva una ferita di guerra sulla gamba, che lo faceva zoppicare. Ma era un uomo forte e dal temperamento mite.
-Sta ancora dormendo?- Chiese la donna, mentre sfornava una teglia fumante
-Sì. Non riesco a credere che sia qui. E dire che la polizia la dava oramai morta- Anche lui credeva fosse ancora un sogno. Un sogno a cui avevano cominciato a rinunciarci
-E invece ci è spuntata davanti così. Come se fosse aria-
-Da quando in quai fai il romantico, Jean?-
-Non lo so-
La loro piccola sala riunioni è la cucina, dove Annette stava preparando un vero banchetto. Torte al formaggio. Pasta alla francese. Stuzzichini vari e un budino con fragole, il più grosso mai visto. Era tutto un sminuzzare, tagliare e bollire. I due uomini preparavano la tavola, con il servizio da festa. Tutto elegante. Tutto ad indicare l’aria di festa e grande gioia che regnava.
-André. Ho parlato con Françoise di quella cosa che ci hanno detto gli investigatori-
-Quella in cui dicevano che la nostra piccola ballava all’Opera di Parigi come sognava?-
-Ha confermato. Ha veramente ballato lì-
-Allora perché non è tornata prima?-
-Paura ha detto- La risposta non convinse il consorte, che tornò a torturare le carote per l’insalata. La buccia era già stata tolta e ora attaccava, soprapensiero, la polpa riducendo la verdura ad uno stecchino.
Françoise osservava e ascoltava dalla sua stanza. Il suo sesto senso l’avvertiva di una piccola tensione che si era generata, dovuta alla non completa credibilità da parte della famiglia, alla sua storia. Avevano capito che stava omettendo qualcosa, ma non la forzavano. E come poteva raccontar loro tutto? La stessa paura le impediva di parlarne. E poi si era ripromessa di non pensare a quella sua, triste, natura; ma di recuperare ciò che aveva perso. La sua famiglia.
Sorrise perché anche se voleva tornare da loro, non né sentiva una forte necessità. Aveva due famiglie ora. Quella Arnould, quella in cui era cresciuta.
E l’altra, quella che non la faceva mai annoiare, che la faceva sentire sempre allegra; quella con cui affrontava la loro condizione, con cui affrontava mille pericoli che neanche il più grande scrittore potrebbe raccontare, perché fuori da tutti gli schemi. Ma soprattutto la famiglia che si era costruita con Lui. Il suo amore. Il suo giorno e la sua notte. La sua vita e la sua morte. Il suo Universo.
Oramai era sveglia e guardava la campagna notturna, pensando a Lui e agli altri. Aprì la finestra, permettendo al venticello di campagna di accarezzarle il viso, facendole arrivare gli odori tipici dei campi coltivati e dell’erba tagliata di fresco. Scoccò un bacio sulle sottili dita e fece per mandare quel piccolo gesto al vento –“Buonanotte Joe. Buonanotte ragazzi”- Gesto che riuscì ad arrivare, in qualche modo, ai diretti interessati –Se non fosse possibile, direi che la nostra dolce principessa, ci ha appena dato il bacio della Buonanotte-
-Ah! Ti sei svegliata. Salve- Jean era appoggiato sullo stipite della porta, con la stessa aria che caratterizzava Jet. Mancava solo il naso –Non mi sono nemmeno accorta di essermi addormentata- Scesero al piano di sotto, dove un ricco banchetto troneggiava sul tavolo. Sulla porta una scritta fatta con dei semplici fogli appiccicati “Bentornata Françoise” Non poté evitare di sorridere serena. La sua casa, la sua famiglia. Quella quotidianità le era mancata, nonostante tutto. A tavola fu un gran vociare. Jean che raccontava tutto quello che era successo nella sua assenza. La sua promozione nella squadra aerea acrobatica. Il matrimonio del suo migliore amico. La sua costante ricerca nel tentativo di ritrovarla. I soliti battibecchi tra i genitori (accolti con un rossore da parte dei soggetti) Quelle chiacchiere le impedirono di pensare a quello che avrebbe dovuto raccontare. E nessuno glielo chiese
-Domani arriveranno tutti i parenti. Vedrai faremo una gran festa. Saranno tutti felicissimi di rivederti-
-Tutti tranne Janette. Quella tirerà fuori ogni argomento pungente, per giustificare la tua scomparsa-
-E nessuno mi toccherà. E se dovesse superare un certo limite, la rimetto a posto IO-
-Guarda che quella è brava con le parole-
-E chi ha detto che userò le parole- Esibì quella che nel gruppo veniva chiamata “La destra cannone” per la forza che metteva quando era il caso di usarla, perché le buone non servivano -Ho imparato un paio di cosette durante la mia assenza-
-Tipo?-
-Difendermi- Era vero, ma non specificò da CHI si difendeva. Fisicamente era considerata la più debole del gruppo. Ma la sottovalutavano tutte le volte. Sottovalutavano tutti, per essere precisi, per il loro modo di fare... umano; per il fatto di considerarsi e comportarsi da umani.
-Sai una cosa tesoro. Ti vedo diversa. E non creda dipenda solo da questa brutta esperienza- La guarda con fare interrogativo. Fino a che punto era diversa?
-In che senso mamma? Certo non ha più l’aria da bambina. Ma fino a che punto dici?- Anche Jean era rimasto incuriosito da quell’osservazione.
-Non so. E’ più matura, questo è certo. Ma sembra quasi... che ti abbia avuto un esperienza tale da cambiarti completamente. Escludendo il rapimento- Dunque era così visibile il suo cambiamento? Una volta mamma pure lei, cosa che desiderava; si sarebbe accorta di questi cambiamenti nei suoi figli? Ma la domanda principale era: “Avrò mai dei figli?”
-Beh! Ecco. Come dire... oltre a questa cosa brutta me ne sono capitate anche di belle. Per esempio ho conosciuto delle persone fantastiche, che mi hanno aiutata e protetta. Ci divertivamo tutti insieme. Poi mi hanno aiutata quando ho ripreso a ballare, incitandomi- Man mano che racconta, gli occhi si illuminano di allegria e gioia. Fa nuovamente attenzione a quello che dice, per non tradirsi. Ma racconta tutto quello che facevano quando non combattevano; quando non dovevano fare i conti con la morte; quando potevano essere normali.
-Cavoli. Ma se ti sei liberata da molto, com’è che non sei tornata prima- La domanda di Jean fece sparire la ritrovata parlantina, facendola ricadere nel mutismo. Ci pensò la fidanzata di lui a farlo ragionare, con un’assestata gomitata nel costolato –Tenere a freno la lingua qualche volta? E poi te l’ha detto mille volte il perché- Abbassò lo sguardo dispiaciuto. Ma era lecito che volesse saperne di più su quella faccenda, già poco chiara di se. Françoise sorrise rassicurante come sempre. Comprendeva benissimo quella perplessità, ma era rammaricata dal fatto che non potesse dire nulla... per proteggerli. In quel momento suonò il campanello e Annette andò ad aprire. Era la polizia, venuta fin lì per l’interrogatorio. Furono fatti accomodare in salotto dove, da brava padrona di casa, Annette offrì loro un caffè. Fu Françoise stessa a portarlo, tesa come una corda di violino
-Bene signorina Arnould. Cominceremo subito- Il tono indifferente del commissario al mise a disagio. Si sentì di nuovo come quei giorni successivi all’intervento.
-Cominceremo con le solite domande di routine. Il suo nome è Françoise Arnould, Nata a Parigi il 24 gennaio 1944?-
-Sì- Era nervosa. Sentirsi dire le proprie generalità in quel modo, la faceva sentire ancora meno umana e più... oggetto.
-Dunque. In base a ciò lei ora dovrebbe avere 27 anni esatto?-
-Sì- 8 anni da quando era cominciata quella storia. Quasi 9. 3 per sconfiggerli la prima volta. Poi 5 anni di pausa. E ora è tornata in azione. In realtà non badava all’età. Era ancora la stessa ragazzina che fu rapita quel giorno.
-Dunque. Voglio che ci racconti cosa successe quel giorno- Cominciò a raccontare senza tentennare. In questo modo anche i genitori seppero cosa era successo. Jean aggiunse particolari sconosciuti alla sorella.
-Conosceva i suoi rapitori?-
-No-
-Sa dove la portarono di preciso?-
-No-
-Cosa fecero per prima cosa, una volta che lei si fu risvegliata?- Si morse il labbro inferiore e si torse le dita della mano. Che poteva dire?
-Signorina Arnould, gradiremmo una risposta-
-Evidentemente non può dirlo al momento non le pare- Come sempre il fratello era pronta a difenderla.
-E’ importante per sapere di cosa accusarli, trovarne delle prove e incriminarli-
-Tanto non cambierebbe nulla, mi creda. L’unica cosa che posso dire è che sono ben organizzati e sarà difficile anche solo sapere chi erano di preciso. E ora per favore, non mi chieda altro- Educatamente lascia la saletta, per ritirarsi nuovamente nella sua stanza. La penombra l’aiutò a calmarsi. Si rimise sul letto e dalla borsetta prese una foto. Lei e tutti gli altri in divisa, che sorridevano all’obbiettivo. Nella borsa c’era anche la pistola. Aveva preso l’abitudine di portarsela sempre appresso. Dal piano di sotto giungevano le proteste della famiglia all’insistenza del poliziotto di interrogarla. Alla fine se ne andò con non poche proteste, promettendo di venire a prendere la ragazza per continuare.
-Scusa. Forse non avrei dovuto chiamarli. Ma volevo solo che smettessero di cercarti. Non pensavo... – Natalie entrò nella stanza. La stanza era al buio e lei era seduta sul davanzale della finestra, con le gambe raccolte vicino al petto. Nascose la foto nel vestito, in modo che non la vedessero –Non preoccuparti. Hai fatto solo quello che ritenevi giusto. Non c’è l’ho con te. È quel poliziotto che era indelicato. Non ho molta voglia di discutere, altrimenti gli avrei detto il fatto suo- L’amica le si siede di fronte, con una gamba penzolante e un gran sorriso tra il divertito e il dispiaciuto –Sembra che tu sia diventata più forte da quando sei sparita. Ha ragione tua madre a dire che non sembri più una bambina- Le sorrise allo stesso modo, per poi guardare fuori dalla finestra. La notte campagnola era tra le più buie, ma aveva il suo fascino.
Si potevano vedere meglio le stelle.E lei amava vedere le stelle
–Sono belle vero-
-Cosa?-
-Le stelle, Natalie. Le stelle. Nella villa dove mi sono sistemata, sto ore a guardarle. Posso anche dirti quali sono- E cominciò a elencare le costellazioni che si vedevano dalla finestra. Natalie pendeva letteralmente della sue labbra e guardava fuori affascinata. Quel bel momento fu interrotto da Jean, entrato in quel momento con una sigaretta spenta –Mia madre ti vuole giù, Natalie- La ragazza uscì, fregandogli la sigaretta con gran disappunto del compagno. Accese la luce e si sedette sul davanzale con lei –Allora. Com’è stato il rientro a casa?- -Molto stressante- -Immagino- -No non immagini nemmeno quanto. Tu non sai cosa mi tocca sopportare nella casa dove sono... ospite. Non devi affrontare dei gran casinisti. Non devi fare da balia a degli adulti vaccinati, con il cervello da poppante- Jean alza un sopracciglio perplesso. Non ricordava che sua sorella facesse sarcasmo in quel modo. Continuava a parlare dei tizi con cui conviveva, ma non andava oltre un certo limite. Se ne era accorto benissimo.
Con fare protettivo le mise una mano sulla fronte, come faceva sempre per vedere se stava bene, se aveva la febbre. Gesto che un po’ la infastidiva, perché il fratello troppo protettivo. Non che le dispiacesse, ma il troppo stroppia, si sa –Sto bene Jean, sono solo esausta. Vorrei dormire una settimana- -Sicura?- -Sì. Dillo tu alla mamma- Esce lasciando la sorella nella buia stanza. Tira di nuovo fuori la foto e la guarda serena. La sua famiglia si era molto allargata.
In una stanza a Parigi, un gruppo di persone entra rumorosamente, non badando all’ora tarda. Le vesti rosse, sono un po’ lerce e i loro “indossatori” erano sudati e decisamente poco rosei.
Il secondo più alto del gruppo, si lasciò andare su uno dei letti –E anche questa è fatta. Sono distrutto- -Almeno per una volta ne siamo usciti illesi o quasi- -Come sarebbe a dire quasi?- -Beh! Tu, caro il nostro condor, oggi eri talmente innervosito dall’incidente che hai fatto, che non badavi nemmeno DOVE andavi- Il diretto interessato si voltò dall’altra parte con gesto di stizza. In quel momento lo scroscio dell’acqua della doccia, giunse distinto dal bagno della stanza. L’unico assente si era promesso di mettersi subito a nanna, dopo una bella doccia rinfrescante.
-Ci facciamo belli vero?-
-Tu che dici? Domani sarò impegnato. E credo che non vi farà male dormire, sapete- Uscì dal bagno, con l’asciugamano avvolto in vita e i capelli ancora gocciolanti. Pesanti com’erano dall’acqua, il ciuffo gli scendeva addirittura sotto la mandibola.
-Tu mi devi spiegare come fai a tenere sempre a posto quel ciuffo, maledetto-
-Non lo so nemmeno io. Sta così e basta. Albert spostati da lì che devo prendere i vestiti- Prese subito l’intimo e i calzoni del pigiama, per poi rifugiarsi in bagno di nuovo.
-Allora. Cosa avete in programma voi due?-
-Noi due chi? Ha organizzato tutto Lei. Stavolta io non centro-
-Sì certo come no-
-Tieni quel promontorio fuori dai nostri affari o prima o poi te lo stacco-
-E se cade apre in due la Terra- Risata generale per l’uscita del teatrante, cosa non condivisa dall’interessato. Il rumore del phon coprì le parole del capo squadriglia, mentre il Romeo si asciugava.
-Secondo me, faranno una bella gitarella in campagna, con un bel cestino da pic-nic e la solita aria zuccherosa che li circonda-
-Non credo. Alla stazione c’era il fratello. E’ andato con lui. Quindi in ogni caso non saranno soli- Mutismo. Non si può dire silenzio perché il phon andava ancora nel bagno. Stavolta Bretagna aveva decisamente colpito e affondato. Anche se non si capiva se era perché alcuni non sapevano la cosa del fratello o per il fatto che ci sarebbe stato SICURAMENTE anche lui.
-Che voglia presentargli i suoi?-
-Beh! Non sarebbe strano. Anzi. Sarebbe anche ora- La faccia scura spaparanzata sul cuscino dell’altro letto, era immersa letteralmente in un opuscolo turistico su Parigi.
-Mi chiedo solo come la prenderanno. Lui si presenterà lì e dirà “Buongiorno. Sono il futuro marito di Françoise”- Uno sbrilluccicoso Joe, comparve vicino alla finestra. E di sicuro qualcuno sentì una ventata gelida, nonostante il calore del getto d’aria.
-Come minimo lo fucilano-
-Tanto non si fa nulla-
-Neanche Romeo e Giulietta hanno dovuto affrontare una cosa del genere-
-Ci credo. Sono morti dopo una settimana-
-Di che parlate? Che centrano Romeo e Giulietta?- In quel momento l’oggetto delle loro chiacchiere uscì dal bagno, pronto per il riposino.
-Noi andiamo a letto. Coraggio gente. Domani sarà una giornata dura- Si alza dal letto, lasciando la guida sul tavolino ed esce trascinandosi dietro un Chang già bello e crollato. Tempo di chiudere la porta a chiave e Jet notò che l’amico era già bello addormentato.
-Sogni d’oro, pupetto. Che la tua bella ti aspetta. Quasi quasi gli faccio due baffi con l’indelebile-
-Provaci e sei morto-
-Ma tu non stavi dormendo?- Nessuna risposta. Evidentemente aveva parlato nel sonno. Fece spallucce e si infilò a letto pure lui. Mentre un piccolo nella sua cesta se la rideva per lo scherzetto.
La mattina dopo si prospettava più limpida della precedente.
L’alba aveva appena cominciato a tingere di rosa, arancio e celeste il cielo, facendo sparire il buio notturno. Caricò la valigia e un sacchetto, contenente un altro pacco più piccolo. Si mise al posto di guida e accese il motore, lentamente lasciò il parcheggio e si allontanò lungo le strade ancora deserte.La strada era tutta sua. E una volta imboccata la principale, non ci pensò due volte a dare gas
–Entro Stasera sarò a Saint Bernard du Lac. E potrò rivederti amore mio. Non hai idea di quanto mi sei mancata-
Sopra di lui, l’unico corvo in circolazione lo vide allontanarsi –Ho fatto bene e svegliarmi due ore prima del solito. Bene bene. Vado ad avvisare gli altri- E sparì in direzione dell’albergo.
-Ehi! Sveglia dormigliona- Fu Jean, la mattina dopo, a svegliarla. La sera prima era andata a letto senza neanche salutare. Aveva messo la camicia color rosa pastello, molto delicata. Ogni volta che la indossava, sentiva che Lui era lì vicino. Anche in quel momento lo sentiva vicino, nonostante la lontananza –Allora muoviti. Guarda che le fragole me le mangio tutte IO- -“Fragole di prima mattina?”- Scende la scale veloce, senza nemmeno mettere le pantofole. Arriva in cucina dove una bella coppa di fragole la attende davanti alla sua vecchia tazza con i gatti. Accanto una coppa più piccola con panna –Ma voi siete matti- -Pensavo che tu andassi matta per le fragole- -Sì, ma... - -Papà le ha prese questa mattina presto, prima di andare al lavoro. Tornerà per pranzo- -E per allora avremo organizzato il più gran banchetto di tutti i secoli- -Se mangio troppo poi non riuscirò a ballare bene- -Sciocchezze. Guardati. Sei uno scheletro- Le fragole era succose e rosse. Le immergeva nella montagna di panna e poi le mangiava con un solo morso. Si ricordava che da piccola la nonna gliene faceva sempre trova una coppa piena e che lei le divorava tutte. Jean doveva sempre fare i salti mortali per prenderle i primi tempi, quando era piccola piccola. Poi crescendo le divise con tutti, anche se la maggior parte se le mangiava lei. Mangiando quei frutti rossi, come faceva all’epoca, la fece sentire euforica.
-Ehi! Lasciacene qualcuna golosona- Allungò al mani e ne arraffò un po’ che prese pure lui a tuffare nella panna. Presto tutta la famiglia era lì a godersi le fragole con panna.
-Cavoli. Era da tanto che non le mangiavo così-
-Non le mangiavi lì dove stai?-
-Sì. Ma non così. Ma su una bella torta-
-Un classico. Ma le fragole sono più buone così. Non diventano dei ghiaccioli, come invece succede se le metti in frigo-
-Ehi! Ti sei sporcata- Guardò la camicia e vide due macchie rosse sulla camicetta. Non sarebbero andate via facilmente.
-Al lavoro ragazzi. Cominciamo a organizzarci. Jean ti prepara fuori. Qui dentro non ci staremo tutti. Natalie, tu pulisci i servizi da festa. Io preparo il resto- La determinazione di Annette era quasi paragonabile a quella di Chang. Ma la sua era di mamma, quella di Chang era diversa
–Io che faccio?-
-Se vuoi puoi fare al spesa. Così fai anche un giro in paese-
-Ok- Tornò di sopra a cambiarsi. Era euforica già dalla prima mattina. Appena in camera spalancò le finestre, inspirando a pieni polmoni l’aria di campagna. L’erba tagliata, l’odore fresco della notte, si mescolavano svegliandola e dandole un ulteriore carica di energie. La sua stanza dava sulla campagna esterna. Il panorama si perdeva all’orizzonte. Chiuse le tende e prese dalla borsa un comodo vestito per passeggiare. Un paio di jeans ricamati su una gamba con delle stupende rose rosse; una golfino rosa con il collo che si apriva da un lato ricadendole sulle spalle; e un semplice paio di scarpe da tennis. Si pettinò con cura i capelli e si mise un filo leggero di trucco, sulle guance. Non ci voleva molto per essere belle. Prese la catenina che gli aveva regalato il giorno del loro anniversario. Il ciondolo era un cuore diviso a metà. L’altra metà ce l’aveva Lui. Sulla sua metà c’era il suo nome: Joe; sull’altra invece era inciso quello di Lei: Françoise. Era una specie di patto. Tu possiedi il mio cuore e io il tuo.
Scese e prese al volo la lista per la spesa, la borsa e i soldi, dando un veloce saluto al gruppo –Che energia- -Dopo tanto tempo, deve sentirsi veramente libera-
In realtà era una sensazione diversa dalla libertà. Era vita. La parte mancante della sua vita. Ora poteva affrontare l’Apocalisse serena. Senza accorgersene, stava correndo per le vie del paese ridendo e facendo giravolte. Era felice. Prima di fare al spesa, decise di andare su una collina dove sapeva esserci un bellissimo campo di fiori di camomilla. Aveva anche una foto di lei in quel campo. E infatti c’era, ma i fiori non erano ancora sbocciati. Era gennaio, non poteva pretendere di vedere fiori in quella stagione. Suo padre doveva aver preso le fragole da una serra, perché non erano tipiche della stagione. Si sedette sull’erba tagliata. C’era ancora quell’odore pungente, ma era gradevole. Si sdraio e osservò le poche nuvole passargli sopra il volto. Pensò ai suoi amici. Oramai dovevano aver concluso la missione. Non era qualcosa che richiedeva giorni. Restò lì ore, senza muoversi di un millimetro, osservando le nuvole e vedendoci, di tanto in tanto, il volto degli amici –“Non riesco proprio a liberamene. Pure tra le nuvole li ritrovo”- A quel punto si alzò. Si era fatto tardi. Quasi ora di pranzo. Anche se non aveva l’orologio, lo capiva dall’angolazione del sole. Era stato Geronimo a insegnarglielo. Prese la borsa e volò in paese a prendere le cose che servivano. Si tolse i fili d’erba rimasti attaccati ai vestiti e che le pungevano la schiena. Salutò tutti. E tutti furono felici di rivederla sana e salva. Era un piccolo paese, di non più di qualche centinaio di abitanti. Si conoscevano quasi tutti lì. Fece salti mortali per liberarsi dalle strette di mano, gli abbracci e i saluti delle vecchie amiche della nonna e comprare quanto necessario. Ora era tardissimo. Mezzogiorno era arrivato e passato. Cose veloce verso casa. Quasi non toccava terra. Il suo passo era leggero e silenzioso. Inizio persino a canticchiare allegra. Era sicura che niente poteva toccarla in quel momento. Ma come al solito, nella loro oramai vita, qualcuno li osservava costantemente –Sempre a ritenerti umana vero? Ti farò capire una volta per tutte QUANTO sei umana-
Arrivò a casa, sempre col solito sorriso, con la stessa serenità –Ci hai messo parecchio a prendere due cosette- -Ho fatto una deviazione al campo di camomilla. Si sentiva l’odore dell’erba tagliata. Poi in città non sono riuscita a liberarmi delle vecchie amiche della nonna. Erano tutte contentissime di rivedermi e non la smettevano più di abbracciarmi- Era divertita. Non pensava ad altro che all’istante. Ogni preoccupazione era superflua.
-Dum dummm... –
-Potresti evitare di canticchiare, bella capocciona. Sto pensando-
-Perché tu pensi? Ragazzi controllate che non stia arrivando un uragano-
-Molto divertente, Doc. Stavo pensando a come fare un’entrata degna di questo nome. Pensiamoci. Françoise presenterà Joe a tutta la sua famiglia; saranno tutti presenti e riuniti in gran corte. Nel momento stesso in cui la NOSTRA bella damigella dichiarerà il suo fidanzamento con il principino; NOI entriamo e li consegniamo in blocco i regali. Oppure lo facciamo prima?-
-Intanto cerchiamo di arrivare va-
-Soprattutto perché col tuo macinino arriveremo fra un secolo-
-Sempre meglio della tua moto. Fa più rumore che strada-
-Non insultare la mia moto. E vedi di mettere a tavoletta. Quello là ha già 4 ore di vantaggio-
Il pranzo fu preparato a suon di valzer. Sua madre adorava il valzer. Lei lo sentiva fin da piccola e forse era per questo che gli piaceva la musica classica. Anche se aveva scelto il balletto, al ballo da sala. Comunque non sfigurava di certo vicino alla madre, quando si trattava di ballare un tango o un valzer. Lei stessa si metteva a ballare, a modo suo, quando in casa c’era quella musica. Di solito sua madre la metteva la sera, quando era sicura che loro due dormivano e voleva passare qualche momento romantico col padre.
Sua madre in quel momento, era più euforica del solito. Non faceva altro che piroettare mentre metteva via gli antipasti per la sera. E Françoise ogni volta che passava, si scansava divertita. Se avesse fatto così, Chang le avrebbe di sicuro detto “QUESTA è una cucina. Non una sala da ballo”
-Allora? Oggi siamo più euforiche del solito vedo. È da moltissimo che non metti un valzer- Sua padre entrò in quel momento, aveva un sacchetto un po’ pesantuccio. E Lei poté capire benissimo cosa conteneva, anche senza le sue capacità.
-Papà. Non dovevi prenderla-
-Come hai fatto a capire cosa contiene?-
-Non ci vuole molto. Sai benissimo che le fragole con la panna sono le mie preferite. E quando c’è da festeggiare, prendi sempre la torta al limone, con fragole e panna.- Divenne rosso per l’imbarazzo. Era davvero prevedibile. Non che ci volesse molto, se era la tua famiglia.
Di nuovo mangiarono con tante risate e scherzi al gelato. Nessuno le chiese nulla. Anche il pomeriggio fu all’insegna della musica. Ma questa volta toccò a Françoise dirigere le danze. Indossato un vecchio vestito nero e una maglietta bianca; indossate le vecchie scarpe che non indossava da quel giorno e si mise a ballare lì, nel salotto, mostrando a tutti la sua bravura e quanto fosse migliorata in quegli anni.
-Sembrava che dovessi volare da un momento all’altro-
-Un vero cigno-
-Andrè. Questa era “Giselle”, non “Il Lago dei Cigni”-
-Ma come si fanno a distinguere?-
-Il lago dei cigni, imita il volo di un cigno; Giselle no- La pronta risposta della dolce ballerina, fece decisamente alzare l’umore, preparando alla serata. Continuò a ballare, anche se per conto proprio. Gli ospiti sarebbero arrivati tra poco. Bussarono alla porta e sua madre entrò –Tesoro. Tra poco arriveranno gli zii. Dovresti fare una doccia e tutto il pomeriggio che balli-
Si fermò e si tolse le scarpe, mentre dalla borsa tolse un vestito bianco che lasciava scoperte le spalline, il corpetto stretto decorato con delle eleganti pieghe e una voluminosa gonna che arrivava fino alle sottili ginocchia –Come hai fatto a fare entrare quel vestito in borsa?- -In qualche modo-
Prese accappatoio e asciugamano e in un quattro e quattr’otto era sotto al doccia ancora emozionata e nervosa. Di sicuro le avrebbero chiesto il motivo della scomparsa. Ma lei non avrebbe detto nulla. Pregava di continuo che non venissero mai a sapere nulla. Che non sapessero mai la verità.
Si intrattenne ancora un po’ nel bagno, mentre si guardava allo specchio, avvolta nell’accappatoio e i capelli fermi stretti nell’asciugamano. Anche se era tutta concentrata sulla seratan Niente le impedì di sentire una scossa lungo la schiena. Era la familiare scossa di pericolo.
-*Ragazzi. Abbiamo un problema*-
-Good morning, little. Dormito bene?-
-*Si stanno muovendo. E puntano a Saint Bernard du Lac*-
-Strano nome non... Ehi! Ma è lì che si trova... Spingi l’acceleratore. Spingi l’acceleratore-
-Anche se lo facessi c’è la sicura-
-Fermati allora. Ci penso IO- Si fermarono. Il rosso saltò giù dalla furgone e aprì di botto il cofano del motore. Affondò le mani tra cavi e contatti e trovò quello che cercava. Senza badare agli oli per motori, tenne fermi i fili con la bocca, mentre staccava quel contatto e poi li ricollegava –Fatto. Ora spostati che qui ci vuole un professionista. E tieni questo. Che più tardi che lo rimetto- Qualcuno dietro si fece il segno della croce con gesto teatrale, mentre gli altri stingevano le cinture di sicurezza –Occhio che andiamo a tavoletta- Spinse sull’acceleratore, mentre metteva subito la 5° marcia. Bruciando la scalatura delle gomme, passò da 0 a 250 km/h in pochi secondi –Tu sei un pazzo patentato- -Sì va bene. Ma qui dobbiamo muoverci. Se solo andasse a 500 sarebbe anche meglio- -L’unica che va a 500 ha 4 ore di vantaggio- -Che tra un po’ diverranno minuti- -Ave Maria, piena di grazia... - -E tu piantala Shakspeare da quattro soldi-
Avrebbe voluto mettere subito l’abito, ma non voleva che la sua famiglia ci andasse di mezzo. Erano Loro. Ne era sicura. Era talmente “abituata” a scovarli, che poteva perino riconoscere quando si avvicinavano a qualcuno della squadra. In particolar modo a Lei. Mise la solita veste rossa, con i soliti stivali e la solita sciarpona. Prese veloce la pistola dalla borsa e anche la foto, che nascose nella maglia, vicino al cuore. Silenziosamente, come solo lei sapeva fare, scese veloce cercando di non tradirsi con nessun gesto strano –Mamma, senti. Devo prendere una cosa importante. Ci vediamo dopo- Non si fece nemmeno vedere, mentre veloce usciva all’esterno. Corse per diversi metri, prima di fermarsi e attivare i suoi sensi. Sentiva le macchine sulla strada principale, a un km da lì. i espiri degli abitanti. Sentiva e vedeva tutto. Anche chi la seguiva –Potevi anche lasciarmi in pace oggi. Domani, forse, avresti avuto il tuo bel duello- L’uomo non si scompose, ma tirò fuori la pistola puntandogliela. Fu più rapida e un colpo in mezzo agli occhi bastò. Non vacillò nemmeno –“Maledizione un robot”-
Sparò ancora, questa volta a raffica, e riempì il corpo avversario di buchi che colavano olio. Infine finì l’avversario con in colpo esplosivo. Era l’unico modo –“Perché devo sempre combattere? Perché non posso essere normale?”-
Al suono dell’esplosione, i parenti più diretti erano arrivati e si allarmarono –Cos’era?- -Non lo so, ma non mi piace. Restate qui- Jean andò verso il luogo dell’esplosione, incurante di quello che avrebbe potuto succedere. Ma soprattutto, senza nemmeno immaginare quello che avrebbe visto.
-Dove sei? Vieni fuori. Perché non potete lasciarci in pace? Perché?- Urlava girandosi intorno, in cerca di colui che guidava il robot, senza tuttavia vederlo. Non aveva idea di dove fosse. E anche se usava i suoi sensi al massimo, non trovava nulla –“Deve essersi schermato”- Continuò a guardarsi intorno, mantenendo la calma, nonostante un rivolo di sudore le percorse la fronte.
-Ahah. Continui a considerarti umana 003? Sei patetica. Siete tutti patetici. Non potete essere ciò che non siete. Voi non siete nemmeno vivi-
-Sta zitto. Noi siamo vivi. Abbiamo un cuore che batte. Del sangue che ci scorre in corpo. Abbiamo dei sentimenti e dei ricordi. Siamo umani-
-Quanto può esserlo un mostro come te- Quell’ultima frase valse centinaia di altre, dette in tutti quegli anni. Si morse le labbra, per non far vedere la disperazione, per non mostrarsi debole. Non c’erano gli altri lì. doveva cavarsela da sola. Probabilmente il piccolo li aveva già avvertiti e sarebbero arrivati a momento. Avrebbe tenuto fino a quel momento
-Non rispondi vero, 003? Sai che ho ragione. Sei solo una stupida macchina difettosa, che va smantellata e riprogrammata-
-Non sono un macchina- rispose calma –Sono un essere umano e non voglio dirlo un’altra volta. Tanto con quelli come te è inutile-
Jean era arrivato proprio in quel momento e aveva sentito l’ultima parte del discorso, con tanto di risposta da parte della sorella. Nascosto dietro un albero osservava con espressione indecifrabile.
La terra prese a tremare e altri robot come quello appena abbattuto, sbucarono come zombie dal terreno, circondandola. Jean trattenne il respiro ed era già pronto a intervenire per salvare l’amata sorella, quando vide quello che successe dopo, facendogli quasi urlare il nome della sorella.
Una pioggia rossa partì da tutti quegli esseri di metallo, non lasciandole nessuna via di scampo, tranne una. Saltò con tutta la forza che aveva nelle gambe, evitando la pioggia e avvitandosi su se stessa, nella stessa maniera che faceva sul palco.
Jean aveva osservato la scena e per un attimo vide gli occhi di sua sorella. Decisi, per nulla spaventati; freddi, calcolatori e indifferenti a quanto le stava accadendo, come se fosse roba quotidiana.
Prese la pistola e fece fuoco, abbattendone la metà mentre ancora era in aria e dolcemente atterrava.
Jean continuò a guardarla sorpreso –“Fino a che punto sei cambiata, Françoise?”-
-Bella mossa, 003. Ma era solo il primo antipasto- I robot alzarono un braccio e prima che potesse fare qualunque cosa, un suono uscì dalla mano.
Jean trovava fastidioso quel suono, ma solo quanto uno stridere di un gessetto sulla lavagna. Ma per 003 era diverso e se ne accorse. Aveva le mani alle orecchie e sembrava stringersi al testa in una maniera tale, che temette che se la schiacciasse da un momento all’altro. Almeno finché non la sentì urlare. Gli occhi erano ridotti a dei puntini e sempre tenendosi la testa, rotolò a terra senza smettere di urlare di dolore. I suoi sensi erano ancora al massimo e ogni suono era moltiplicato 10.000 volte. Quel semplice stridere, per lei, era la peggior cosa che potesse sentire.
Non potendo sopportare la vista della sorella in quello stato, uscì allo scoperto e si avventò sui robot, facendo smettere in qualche modo quel suono –Se la tocchi dovrai vedertela con me, capito bruttone-
-Ah! Il principe viene a salvare la principessa. D’accordo. So come risolvere la cosa- Il più grosso sparì e mezzo secondo dopo stringeva Jean in una morsa tale che l’avrebbe ucciso in pochi secondi
–Jean- si era ripresa quanto bastava per vedere quello che succedeva, ma il suo equilibrio era compromesso da una forte lesione hai timpani. Sentiva a malapena.
Quindi non sentì il fischio che le passò accanto. E non sentì il rumore di lamiera contorta e distrutta. Vide però quello che voleva. Lui. Era arrivato ed era corso in suo aiuto subito. Liberò anche Jean, lasciandolo vicino a lei –Jean- -Françoise, come stai?- Non rispose perché non sentiva. Una mano sulla spalla bastò per far capire le parole di Lui. Un cenno del capo e ripartì alla carica. Lo seguì come sempre. Urlava ordini per fargli evitare i fendenti, sorprendendo il fratello che lentamente si stava riprendendo.
Ma l’ultimo, quello che prima stava stritolando Jean, fu il più difficile. Ogni colpo era sempre meno efficace e perdeva sempre più energie –Più lo colpisci, più ti succhia energia- l’avvertì Lei. Si rialzò per aiutarlo. Non c’è la faceva a vederlo combattere da solo. Cercò di avanzare, ma fu fermato da Jean –Dove credi di andare? Ti farai male. Morirai se vai. Non andare- Non ci fu bisogno di sentirle quelle parole. Bastava il gesto. Sorridendo lo rassicurò e partì di nuovo alla carica, mentre Jean cercava ancora di trattenerla.
Erano di nuovo fianco a fianco. Osservava il mostro e dava istruzioni. Lui colpiva con precisione e alla fine il mostro esplose. Non ci fu un margine d’avviso. Durò pochi millesimi di secondi. Troppo veloce persino per Lei. Furono investiti dall’esplosione, finendo nel campo proprio davanti a Jean –Françoise- Corse a soccorrerla, ignorando le costole incrinate che gli dolevano. Era a faccia in giù e il vestito fumava. Non si muoveva
–Tenshi- Jeo invece cercava di raggiungerla strisciando a terra. Non riusciva a muovere la gambe. L’esplosione gli aveva strappato parte della pelle del viso, lasciando scoperte le parti meccaniche; il vestito era a brandelli, che si tenevano tra di loro con dei sottili fili. Tutto il corpo era pieno di scorticature che lasciavano vedere le parti meccaniche e in alcuni casi anche l’interno del corpo, con i cavi penzolanti che mandavano scintille e dolori lancinanti dappertutto.
Jean lo ignorò e si avvicinò a Lei. Scottava, ma ignorò ciò e la girò per poi lasciarla andare spaventato. Era nella stessa situazione di Joe ed era cosciente –Jean. Era questo che non volevo che sapeste. Quando mi rapirono, mi trasformarono così. Non ero nemmeno cosciente. Quando mi sono svegliata era così da ore oramai. E non esiste un procedimento inverso- Lacrime di sangue solcarono il volto metà metallico e metà normale. Jean non riusciva a smettere di tremare, alla viste della sorella in quelle condizioni. Non la biasimò se non aveva detto niente. Avrebbe fatto lo stesso
–Non è stata una nostra scelta. Siamo stati costretti a convivere con questa situazione. A fare quello che facciamo. Non è una cosa di cui andiamo fieri. Non so cosa ti abbia raccontato, ma lei non mentirebbe mai. Lo so- Osserva quel ragazzo, ridotto ancora peggio, avvicinarsi alla sorella strisciando. Lei non poteva muoversi, ma sembrava sorridere –Stai lontano da lei, mostro. Lei non è come te- Fu la peggior pugnalata che potesse avere –No. Jean. Ti prego- Non l’ascoltò nemmeno.
-Ehi! Tutto bene? Siete interi?-
-Ragazzi. Ma c’è una volta in cui vi fate ammazzare-
Vide altri arrivare di corsa. Avevano lo stesso vestito. Erano tutti diversi –Ragazzi- Quella parola gli fece venire in mente i discorsi fatti il giorno prima. Erano loro gli amici di cui parava –Loro sono come... – Annuì semplicemente. Troppo sbigottito per rispondere, non si oppose quando il ragazzo di colore le si avvicinò e la scrutò da cima a fondo allarmato –Grave lesione al timpano. I sistemi primari sono danneggiati. E anche le articolazioni- -Anche lui non è messo meglio- -Anche voi siete come lei?- Lo guardarono rammaricati, ma annuirono. Strinse i pugni. Erano tutti come lei. Come era ora sua sorella –Dobbiamo renderli stabili. ORA- -Sì ma come. Non abbiamo una sala medica- -A casa mia. Andremo lì. non so come reagirebbe la mia famiglia vedendomi tornare così, ma non possiamo stare qui- -Ha ragione. Poi lei è quella meno meccanizzata del gruppo. Con quelle ferite potrebbe morire- Senza un’altra parola li caricarono e Jean, riluttante ma deciso a salvare sua sorella, li guidò fino a casa. Lungo il percorso svennero per le ferite.
-Senti. Ma in quanti siete in quella casa?-
-Una ventina-
-Andiamo bene. Sarà dura giustificare a venti persone PERCHE’ è ridotta così-
-*Non ce ne sarà bisogno. Ho la vostra posizione e tra pochi secondi Il Dolphin sarà lì con tutto l’attrezzatura medica*- La voce del piccolo fu un toccasana per i nervi e fece fermare la folle corsa a pochi metri dalla villa. Anche da quella distanza si vedeva una crescente agitazione -*Siete troppo in vista. Allontanatevi*- E fecero come era stato detto, trascinandosi un Jean disorientato –Non avresti mai dovuto venire a sapere questa cosa. È meglio che non lo venga a sapere nessun altro- Il Dolphin apparì a 1 km dalla villa, ben nascosto dall’oscurità. Il Dottor Gilmore li aspettava a portellone aperto e faceva cenni di fare presto. Non che ci fosse bisogno di dirlo. Portarono di filato i due nella sala operatoria, seguiti da Pyunma che si infilava in fretta il camice da chirurgo. Le porte della sala si chiusero ed ebbe inizio la stressante attesa.
Non c’erano orologi a bordo, nessun ticchettio a dire il tempo che passava, nessuno fiatava e tutti pregavano. Anche chi non credeva in niente.
Jean cercava di riordinare le idee. Era difficile notare dei cambiamenti apparenti. Ma l’aveva sentito dal primo momento che era diversa dentro. Era sempre la sua stessa sorellina. La stessa che aveva visto crescere. Eppure i suoi atteggiamenti erano diversi. Non molto, ma erano diversi. L’aveva capito già da quando l’aveva rivista alla stazione. Troppo impeto in quell’abbraccio. Le lacrime erano troppe per la semplice lontananza. E quella sua condizione giustificava anche la sua lunga assenza.
I minuti divennero ore. l’attesa era troppo snervante. Nessuno diceva nulla, perché non sapeva che dire. Neanche Jean, che aveva un gran mucchio di domande da fare, parlava, per paura che una sua paura potesse farle del male.
L’alba sorse e il cielo divenne azzurro. Era un nuovo giorno. E finalmente, ore dopo, la saletta si aprì e ne uscirono i due. Avevano il camice insanguinato. E a qualcuno andò sotto sopra lo stomaco
-Come stanno?-
-Gli ho riparati completamente e sostituito al pelle danneggiata. Adesso sono ancora sotto anestesia, ma potete entrare. Fate attenzione però- Nessuno si mosse, ma spinsero il fratello di Lei all’interno. Doveva essere il primo.
La vide sul tavolo, immobile, con una coperta pulita a coprirla. In un angolo tutti i suoi vestiti. Arrossì senza volerlo. Si avvicinò piano e vide che sullo stesso grande tavolo, vicino a lei c’era Lui. Le loro mani erano state messe l’una sull’altra volutamente, in modo che quando si sarebbero svegliati, sapessero di essere l’uno accanto all’altra. Le fece male quella vista. Le prese l’altra mano, aspettando che si svegliasse. Cosa che non tardo.
-Ciao Jean- Salutò tranquilla, ancora un po’ intontita –Mi spiace non averti detto nulla, ma non potevo. Vi avrei messo in pericolo. È una cosa che fa troppo male. Non so nemmeno cosa dire a mamma e papà ora. Sono sparita di nuovo. Avranno mobilitato l’esercito. Fammi un favore. Va da mamma e papà e di loro che torno nel pomeriggio. Di loro che sono rimasta coinvolta in un incidente e che sono in ospedale, ma non ho niente di grave. Ho bisogno di rassicurarli. Per favore. Prima o poi ti racconterò tutto- Gli accarezzò il viso e tornò a dormire, mentre lui usciva –Come va?- -Sta bene. Devo andare a rassicurare gli altri. Saranno preoccupati-
E così fece. Raccontò la bugia che aveva chiesto Françoise. Ci cedettero. E quando quel pomeriggio Françoise rientrò bendata e incerottata, l’abbracciarono ancora più forte.
-Come hai fatto a farti coinvolgere in un incidente?-
-Beh! Ecco. Non era proprio un incidente. Ho chiesto a Jean di dire questo per non farvi spaventare. E poi volevo dirvelo IO- Jean la guardò. Che volesse dire tutto? –Oltre a ballare ora, visto che sono stata rapita da dei terroristi, ed ecco perché ho detto che non li avrebbero mai presi; faccio l’agente della CIA. Si avete capito bene. Faccio l’agente segreto. La spia internazionale. Non sono molto brava, ma le cavo. Però sono brava a raccogliere informazioni- La bevvero e la festeggiarono ancora di più. Promisero di non dire nulla a nessuno. Doveva essere Top-secret. E Janette non ebbe nulla da ridire, anche se era livida di invidia.
Quando suonò il campanello, toccò ad Annette aprire. E si ritrovò davanti due persone. Una anziana con un bambino e uno più giovane –Salve. Scusate l’irruzione, ma siamo qui per Françoise- Annette sbiancò in volto –Non si preoccupi. Immagino che abbia parlato di noi. Siamo i suoi... coinquilini. Lui è il proprietario della casa- Guardò il ragazzo con sospetto e poi il gigantesco mazzo di rose rosa. Li fece entrare titubante. Lui depose le fiore nell’ingresso e entrò in salotto, dove fu accolto da un gridolino di gioia pura e tanti baci e abbracci.
-Françoise. Conosci questo ragazzo?-
-Sì. Lui è...-
-Joe Shimamura, il campione di Formula 1- La reazione di Janette meravigliò tutti –Sono una tua grande Fan. Mi faresti l’autografo- Con il solito sorriso, firmò al foto che gli porgeva. Sempre gentile con tutti. Janette fu ancora più emozionata –Non avrei mai immaginato di incontrarti qui. è vero che sei fidanzato?-
-Sì-
-E chi è. Una cantante? Una diva del cinema?-
-C’è l’hai davanti-
-Come?- Fu Françoise a concludere il discorso abbracciandolo
-Lui è il mio futuro marito- Rimasero tutti di sasso. Janette più di tutti.
-Queste sono per te. Ti piacciono?- prese il mazzo di rose e glielo porse. Era il più grande che avessero mai visto –Non dovevi- -Sì invece. Per te fin sulla luna. Fino all’eternità- -Soltanto?- LO baciò, senza preoccuparsi dei familiari. Quando si staccarono, lui la prese in braccio e la fece roteare in cerchio, facendo volare i petali di rose. Qualche oscura forza volle che questi vorticassero intorno a loro come se fosse un turbine. Petali di rose che danzavano con loro. Petali di rose che rendevano magico quel momento. Non importava se dopo li avrebbero presi in giro, volevano che lo sapessero –Jeoux Anniversaire Françoise- -E’ vero oggi è il suo compleanno. Con tutto quello che è successo, me l’ero scordata. Meno male che abbiamo al torta-
Fuori dalla finestra si vedeva una sporgenza insolita, sormontata da una massa rossa.
-Ok. Decisamente lì ha lasciati secchi-
-Addirittura il suo futuro marito-
-Ci siamo rimasti secchi pure noi-
-Però lo sapevamo che prima o poi...-
-Che facciamo? Irruzione di massa?-
-No. Niente. Andiamocene a casa-
-Tu che non vuoi rompere le scatole? Ti senti bene?-
-Sì. Ma solo che con quello che è successo, mi è passata la voglia. E poi dovevamo giocare sul fattore sorpresa- Se en andarono cerimoniosamente sconfitti e furono raggiunti il girono dopo dai quattro, direttamente alla base.
-Buon Compleanno Prof. Oggi tocca a lei festeggiare. Niente di che sia chiaro. In fondo a nessuno piace farsi sentire gli anni-
-Grazie ma non dovevate-
-Si figuri-
La coppia se l’era svignata quasi subito a godersi attimi di pace e tranquillità.
-A quanto pare neanche coi nostri compleanni possiamo stare tranquilli-
-Avrei voluto che non sapessero nulla. Non avrei dovuto mentire-
-Meglio che non sappiano. È già troppo che sappia Jean-
-Lo so. Ma saprà reggere. Ha reagito benissimo-
-Lo spero-
Restarono fuori fino a tarda notte e nessuno disse nulla.
24 gennaio
Jeouyx Anniversarie Françoise
25 gennaio
Buon compleanno Dottor Gillmore
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